Dove sei?

Dove sei?  Sento ancora la mia mano nella tua quando, bambina, mi accompagnavi a scuola.
Mi sentivo al sicuro.  Mi facevi sentire una principessa.  Ora sono una donna ma mi manchi. Ogni tanto penso ancora a te e mi manchi. Dopo tanti anni, mi manchi.
Mi manca la sicurezza che mi davi, mi manca il bene che mi volevi. Ed ogni tanto ti penso e penso all’uomo che eri. Penso alla tua vita, dura, alle difficoltà che hai affrontato.
Penso alla tua signorilità, al tuo essere autorevole, al tuo cuore immenso che non conosceva limiti e pregiudizi.
Penso a tutti pomeriggi trascorsi insieme, ai tuoi racconti. Penso alla sofferenza dei tuoi ultimi giorni….a come il tuo fisico, prima possente, si era spento, ridotto ad un mucchio di ossa. Alla paura che avevo di toccarti, di farti male.
Dove sei ora?  La tua Giannina, l’amore della tua vita, è con te?
Vedi come sono diventata, nonno? Spero tu sia fiero di me come io lo sono di essere tua nipote. 11822439_10207441330460968_561733206770469177_nPer sempre.

Cercasi vasaio

Al posto del cervello ho una amorfa massa delirante. Non riesco a pensare, a mettere un pensiero dietro l’altro, ordinatamente. Sono tutti lì, i miei pensieri, si affollano disordinati e si muovono contemporaneamente, velocemente.
Ho una poltiglia al centro del petto proprio lì dove, solo un attimo fa, c’era un cuore.
Ed il mio cuore è tutto un sentire, un frullatore di sentimenti e di angoscia. E pensare che normalmente non lo sento. E’ lì che pulsa ma non lo sento. Oggi, chissà come mai, lo sento e lo sento dolorante, come un pugile dopo un incontro, livido, pesto, gonfio.
Mi sento come argilla, una promessa di forma nelle mani di un vasaio.vasaio

Il terremoto

E’ successo. Una volta, tempo fa. Ero tranquilla, con le mie certezze, poche, in realtà, ma solide. Vivevo e lasciavo vivere. Credevo che questo fosse sufficiente a garantire a me stessa un pò di serenità.
Mi raccontavo delle storie che mi aiutavano ad addormentarmi la sera in pace con il mondo. Mi cullavo con cantilene che mi portavano lentamente verso la notte. E sognavo.
Di giorno facevo del mio meglio per rendere al massimo, per essere la studentessa modello, la figlia modello, la ragazza modello. E a me sembrava tutto giusto.
Brava!!!
Tutti mi dicevano che ero brava, ed io ci credevo. Eh si, ci credevo.
Poi un giorno un terremoto, di quelli maledetti, ha buttato giù tutto. Tutto. Non è rimasto in piedi niente, niente di niente. Attorno a me il deserto e tanta, tantissima polvere. Quella polvere che entra nei polmoni e non fa respirare. Ero viva però. Viva per miracolo. Sola. Ma viva. Ho provato a guardarmi attorno, a cercare una mano amica, un sorriso, una parola buona. Nessuno. Non c’era nessuno. Ho urlato ma il vento portava via la mia voce. Nessuno sembrava sentirmi. Forse avrei potuto, dovuto urlare di più. Forse.
Cosa faccio ora? – mi chiedevo disperata.
Mi sono seduta a terra, con la testa tra le mani, ed ho pianto. Speravo che le mie lacrime, bagnando quella terra arida e polverosa potessero dare vita, far sbocciare un’ idea.  Ho pianto, di un pianto violento che mi scuoteva il corpo e mi faceva esplodere la testa. Mi sono guardata attorno e tra le macerie ho visto l’immagine di me riflessa in una pozzanghera. L’immagine di un cadavere. L’immagine di ciò che non esisteva più.  Ho avuto paura e lentamente, lentamente, i singhiozzi si sono trasformati in mugolii e i mugolii in cantilena e la cantilena in canto. Mi sono alzata ed ho incominciato a vedere quello che era rimasto, ben poco in realtà, a cercare tra le macerie qualcosa che potesse tornarmi utile. Ho raccolto tutti i sassi che potevo raccogliere, i mattoni ancora sani. Ho raccolto qua e là quello che potevo. Ho scavato fino a consumarmi le unghie. Ed ho incominciato a ricostruire tutto di nuovo. Dall’inizio. Tutto.

Il risultato? Non lo so ancora. Lo sto scoprendo giorno per giorno.  Ancora, dopo sette anni. Sono sicuramente diversa. E non sono così brava come tutti credono. Non voglio più esserlo. Non voglio più essere lo specchio dei desideri altrui.  Voglio essere, nel bene e nel male, me stessa. Oggi credo di essere semplicemente, modestamente ed orgogliosamente un fragile ed al tempo stesso forte Essere Umano.

Millimetri……

……di vita interrotta. E mi hai lasciato. Sola. E mi manchi. Mi manchi come non avrei mai immaginato potessi mancarmi. Sento il vuoto, la tua assenza. Ho pianto tutte le lacrime che potevo, che avevo, nell’impotenza di fermare il tuo lasciarmi. Eri solo un grumo di vita. Questo qualcuno potrebbe dire. Ma eri la mia vita, pronta come ero a donarti la mia, il mio respiro, il mio battito.  Ora sono vuota e sola. E sospiro al tuo ricordo. Ed il mio cuore batte e piange alla memoria di te. Di quelle meravigliose settimane piene di sogni e di cose che avremmo fatto insieme.
Sei stato un fiore sbocciato per caso. Sei stato una speranza, la mia speranza.

Ho conosciuto un angelo

…una breve frequentazione a dire il vero. Solo poche settimane. Ma è stato intenso. E’ stato il legame più intenso e forte che io abbia mai avuto in tutta la mia vita.
Un miracolo. Ci siamo parlati come mai avevo fatto con qualcuno prima di quel momento. Un dialogo profondo, pieno di “sensi”, viscerale. Era un angelo bellissimo, il mio angelo. Ali di argento, aveva il mio angelo. Con piume tenere e morbide e profumate. Aveva occhi marroni e profondi.  Ma a volte, guardandoli meglio, sembravano tendere al verde e, se avevo voglia di sognare, bastava chiudere gli occhi ed i suoi diventavano azzurri come il cielo.
I capelli erano una massa di riccioli castani, però quando c’era il sole, luccicavano di oro, come le spighe di grano. E le sue guance, rosse e fragili come i papaveri, che sono belli finché li lasci lì dove sono nati, poi li prendi e subito muoiono.
Le sue labbra erano piene di sorrisi che dispensava a chiunque lo avvicinasse e regalavano una tale serenità che ancora la ricordo.

Abbiamo sognato molto.  In realtà, ho sognato molto. E parlavo tanto. Ed il mio angelo ascoltava.
– Faremo questo, faremo quello – dicevo io. Ed il mio angelo, zitto, stava zitto.
Lo accarezzavo. L’ho accarezzato a lungo in quelle poche settimane di frequentazione. L’ho coccolato, con tenerezza.
E’ stato bello. Io non so però se il mio angelo riusciva a sentire le mie carezze, le mie coccole, le mie parole, il mio cuore battere di dolcezza. Perchè ad un certo punto ha deciso di lasciarmi.
L’avrò soffocato con il mio amore? Chè a volte l’amore è davvero soffocante.
Fatto sta che mi ha lasciato all’improvviso. Così in poche ore è finito tutto. E’ stato uno strappo terribile che ho vissuto nella carne ma soprattutto nell’anima. Il vuoto. Assoluto. In poche ero ero svuotata di tutto. Della sua preziosa presenza.
Ha deciso di buttarsi via, nel fango. L’ho visto buttarsi via, così in un attimo, nel fango. L’ho visto con i miei occhi. Ma non ho potuto impedirglielo perchè dicono che non si può impedire. La chiamano libertà. Alcuni lo chiamano destino, fato.
Dicono: – Era scritto così.
Vorrei proprio vedere dove cazzo sta scritto che le cose debbano andare in un certo modo piuttosto che in un altro. In quel momento ho urlato con tutte le mie forze, con quello che rimaneva di me dopo tutto quel dolore che avevo provato. Ho urlato.
– Perchè? Eh? Perchè, non stavi bene con me? Perchè diavolo hai deciso di staccarti da me? Perchè diavolo hai deciso di buttarti via così? Nel fango. Nella merda. Perso tra tanti altri angeli persi nella merda.  Come farò se, quando Dio vorrà, ti incontrerò di nuovo, a riconoscerti?
I tuoi capelli, eh? Tutti sporchi appiccicati luridi. Le tue guance, di che colore saranno ora, eh? E i tuoi occhi? Tutto quel fango negli occhi. Non riuscirai a vedermi. Come farai a venirmi incontro?
Come faremo, dimmi come faremo? Neanche una foto ho di te. Neanche una foto. Sei solo nella mia mente. E ti posso solo raccontare. Ti posso solo raccontare a chi vorrà sapere di te. E magari mi prenderanno per pazza. Si, è vero. Ero pazza di amore. Per te.

 

20 novembre 2008

Ero lì. Immobile. Ferma con il fiato sospeso. Non ti vedevo. Eri ben nascosto nelle pieghe di me. Al buio, ti muovevi al buio, come un ladro.
E poi ti ho visto.
Ti ho fissato. Non ti ho tolto gli occhi di dosso.
Ad un certo punto una raffica di mitragliatrice e non ho capito più niente.
Il tempo si è fermato. Il mondo si è fermato. Tutto si è fermato attorno a me. Non sentivo più il mio corpo. Ero sospesa nel nulla. Per un attimo la mia vita era tutta nel rumore di quella raffica che, partita dal tuo cuore, è arrivata alle mie orecchie e poi diritta al mio cuore dove è esplosa.
Non sono riuscita a parlare. Zitta. Mi hai ammutolita. A volte il silenzio vale più di mille parole. Non ho neanche versato una lacrima. A volte si piange anche senza lacrime.
Ti ho fissato. Non riuscivo più a toglierti gli occhi di dosso. Poi sei svanito.

11 giugno 2009: il vero amore esiste

Quello che ti fa battere il cuore. Quello che non dormi la notte. Quello che ti fa perdere nei suoi occhi. Quello che è il tuo ultimo pensiero della sera e il primo del mattino. Quello che, quando ti manca, ti provoca un dolore fisico. Quello che non riesci più ad immaginare la tua vita senza. Quello che, da quando c’è, niente è più come prima.

Si, il vero amore esiste….ed io mi sono perdutamente innamorata l’11 giugno 2009.

Quel che rimane di te

Guardavo la tua foto oggi. E mi domandavo perché, perché diavolo non mi sia venuto da piangere. Niente. Neanche una lacrima. Ed è così da quando te ne sei andato. Ma poi ho ripensato ai nostri giorni insieme. Ed ho realizzato che non te ne sei andato all’improvviso. Non mi hai lasciato così all’improvviso, da un giorno all’altro. Cosa è rimasto di quei giorni della nostra vita insieme? Cosa è rimasto della gioia dei primi anni se non un mare di fotografie? Cosa è andato storto? Cosa ha smesso di funzionare?
Ed ho rivisto le mie lacrime versate, tutte lì, in quei giorni in cui tentavo di trovare un motivo che mi tenesse ancora legata a te. E non riuscivo a trovarlo. In quei giorni, tanti, infiniti giorni in cui tentavo di convincere me stessa che avrei dovuto ritrovare i momenti del passato, i motivi che mi avevano attratta a te, ciò che mi aveva conquistato di te. E non riuscivo a trovarli. Tutte lì versate le mie lacrime, in quei giorni in cui disperatamente tentavo di darci altre possibilità pur di non ammettere che di possibilità non ne erano rimaste, pur di non accettare il fallimento e la sconfitta. In quei giorni in cui, nel tentativo solo mio, di recuperare un briciolo della nostra vita, ho visto sbattermi porte in faccia, elevare muri di silenzio. Ed ho provato anche ad inseguirti. Ah, se ci ho provato. Mille e mille volte. Ma non volevi essere raggiunto. Fuggivcome-sbiadire-le-foto_8366cbe5a4c7f1d2b7a124ec61199d6ei e chiudevi brutalmente e seccamente il mio tentativo di parlarti. Mi negavi la possibilità di comunicare con te perché pensavi che le parole che non mi davi la possibilità di dire sarebbero riuscite ad uccidermi dentro. Ed invece no, sbagliavi. Sì sbagliavi, perché quelle parole che non mi hai dato la possibilità di dire, hanno ucciso “noi”.
Dicevi di amarmi, dicevi – “dopo di te, nessuna più”- e non capivi che a me non fregava niente di quello che sarebbe stato dopo di me mentre interessava terribilmente quello che era “durante me”.
Ecco quando le ho versate le mie lacrime, fino a consumarle tutte. Tutte in quei mille e mille giorni in cui lentamente “morivamo”. Tutte in quei giorni che hanno visto allontanarmi da te, lentamente ma inesorabilmente. E quel che rimane di te, adesso, è poco più di un ricordo sbiadito. Immagini. Una foto.